E’ sabato sera al Poggetto e davanti alla cassa della Flog di Firenze la coda non smette di allungarsi: sta per cominciare il concerto di Bobo Rondelli, per l’occasione di nuovo insieme all’Ottavo Padiglione.
Quando entriamo nell’Auditorium, intorno alle 22.30, i musicisti sono già sul palco, Bobo è in maniche di camicia, scatenato, e il pubblico sta già ballando.
La scaletta del concerto (“Troppo lunga! Ma chi l’ha fatta?!”, si lamenta scherzando) è costruita sul repertorio più rock dell’artista livornese, quello dei suoi esordi con l’Ottavo Padiglione (dalla denominazione del reparto di psichiatria dell’ospedale civile di Livorno), band che stasera lo accompagna e con cui ha debuttato riscuotendo un discreto successo grazie anche alla capacità di fare buona musica e far ridere di risate grasse e intelligenti, come in Toscana – e soprattutto a Livorno, città irriverente per antonomasia – si sa ben fare. È virtù rara, che le muse non elargiscono di frequente agli artisti, quella di essere profondi e divertenti allo stesso tempo: Rondelli ci riesce benissimo ed è anche per questo che è tanto amato e apprezzato, non solo in Toscana, dove lui si ostina a restare, autoproclamandosi con adorabile ironia “a famous local singer”.
Una delle sue tante doti è infatti la capacità di trasformarsi senza perdere la propria identità, restando aggrappato alle proprie radici e fedele alla propria natura giocosa di bambino, senza smaniare per conquistare (pur legittime) fette di pubblico e notorietà sempre più ampie, se questo allontana da ambienti e persone care o rende più ingessati e meno liberi. In questo ci ricorda un grande toscano scomparso da alcuni anni, non a caso suo amico, il rimpianto attore Carlo Monni, che qui duetta con lui. Fiorentino rustico e fiero, poeta contadino allergico ai salotti televisivi e amante delle risate, dei versi di Campana, delle belle donne e del gin tonic, il Monni per ufficio aveva il parco delle Cascine e si trovava meglio alla casa del popolo di un paesino di campagna, con i sandali ai piedi, che tirato a lucido sul red carpet. Ma Bobo, ancora prima di divenire “a famous local singer”, è “l’uomo che ha Picchiato La Testa” – dal titolo della hit dell’Ottavo Padiglione – finito nel 2009 (anno in cui esce l’album ispirato e naif Per Amor Del Cielo) sotto la lente cinematografica divertita e incantata dell’amico regista Paolo Virzì, che gli tributa un ispirato documentario.
Gli Ottavo Padiglione continueranno la loro attività fino al 2000 circa, quando Bobo inizierà la sua più fortunata carriera solista e l’anno successivo, con Disperati intellettuali ubriaconi, prodotto e arrangiato da Stefano Bollani, vincerà il Premio Ciampi, intitolato a uno dei suoi più grandi maestri e concittadini. E Rondelli “ha tutte le carte in regola per essere un artista”, perché “ha un carattere melanconico, beve come un irlandese” e ama le donne. Riamato.
Ma torniamo al concerto: sabato sera, sul palco dell’Auditorium Flog, grazie a una scaletta speciale, abbiamo rivissuto insieme gli anni dell’Ottavo Padiglione con uno dei nostri performer preferiti, che ha cantato molti brani scritti insieme all’Ottavo Padiglione, come A non so dove, Ho picchiato la testa, Emozioni da prima sega, Armiamoci e partite, Domani mi sparo, Quando non ci sei, Compagno Laganà, ma anche alcune delle sue canzoni più belle, come Madame Sitrì, Marmellata, Hawaii da Shangai o Il cielo è di tutti. Come sempre fuori dalle righe, ha confermato la propria unicità e la propria capacità di divertire e provocare, grazie a brani incazzati e ironici, malinconici e scanzonati. Insomma, questo “figlio del nulla” sembra non invecchiare mai. Quale sarà il segreto dei suoi capelli eternamente scuri, dietro cui nasconde la sua anima di ragazzaccio, a 55 anni suonati? Forse l’indifferenza per il successo dei grandi numeri, dei mipiace da social, e l’amore per la dimensione in cui ha deciso di restare, per i semplici, per gli ultimi, per tutte le “anime storte”, per chi sta dalla parte dimenticata della storia, per le vittime della prepotenza, di ogni fascismo, delle guerre, delle religioni, per chi è ancora capace di arrabbiarsi davanti a leggi ingiuste o discriminatorie.
Una sua precisa scelta artistica è infatti anche quella di donarsi al pubblico che più gli piace e gli somiglia, che più gli si addice, ci piace pensare, e pazienza se il salto di popolarità tarda ad arrivare. Imprevedibile ed eclettico, non sai mica a cosa vai incontro quando assisti ad una sua esibizione, perché tutto dipende dal suo umore: se prevarrà la malinconia oppure le risate o la follia che lo spinge a togliersi la dentiera e mostrarla al pubblico o a raccontare di performance sessuali selvagge senza risparmiarci dettagli che qualunque persona sana di mente risparmierebbe. Comunque il live è stato lungo e incendiato, il ritmo serrato, anche grazie al classico repertorio dell’ Ottavo Padiglione, un gruppo che ormai conosciamo bene ma che non è facile descrivere perché sfugge a regole e catalogazioni, ma i musicisti erano affiatati e le cover numerose, soprattutto quelle dell’amato Lou Reed. Sul finale una sorpresa a cui Bobo pare tenere molto: guadagna il palco come bassista il suo giovane nipote.
La serata finisce intorno a mezzanotte e mezzo, dopo due ore di concerto energico e tiratissimo e un bis molto rock’n’roll. Noi ci arriviamo con il fiato corto, lui forse meno. Insomma, Rondelli sa risultare irresistibile assumendo molteplici forme, quella di sabato 23 febbraio all’auditorium Flog è stata particolarmente travolgente: le montagne russe sentimentali a cui ci ha abituato non sono mancate e il pubblico ci ha ballato sopra felice. Non ci sono distanze tra pezzi vecchi e nuovi, tra canzoni di Bobo e dell’Ottavo Padiglione. Diciamo che Livorno suona, e suona bene. Lui non è invecchiato, anzi, non è cresciuto e mai lo farà. E a noi piace esattamente così: un ragazzaccio livornese che non vuole crescere mai.
Elisa Giobbi