Difficile raccontare in poche righe il percorso, l’evoluzione e la musica di Annie Clark (St. Vincent). Algida, perfezionista e misteriosa, oltre che bellissima, sono i tratti più evidenti della sua figura, persino chi ha passato molto tempo con lei, come David Byrne durante la tournée, afferma di non conoscerla poi così bene; molte cose di lei restano un mistero, come anche la sua musica, apparentemente orecchiabile e fruibile ma che in realtà si poggia su un’architettura stravagante e complessa.
La scelta dello pseudonimo St. Vincent è un riferimento al Saint Vincent’s Catholic Medical Center, dove il poeta gallese Dylan Thomas morì nel 1953. “È un luogo dove la poesia viene a morire”, ha in seguito dichiarato Annie.
Nata a Tulsa e cresciuta a Dallas (Texas), Annie Clark fa della musica la protagonista della sua vita sin da giovanissima. La prima fase dei suoi ascolti è costellata di rock e heavy metal (Nirvana, Pantera, Jethro Tull, Led Zeppelin…) ma nel corso degli anni si estenderà anche a tanto altro, motivo per cui la fusione e la coesistenza di più influenze, anche nello stesso brano, ne faranno un’artista imprevedibile e sempre sorprendente.
Il suo primo EP risale al 2003, periodo in cui frequentava il Berklee College of Music di Boston e che poi abbandonò per iniziare una breve carriera con i Polyphonic Spree, prima, e una fortunata collaborazione con Sufjan Stevens, poi. Nel frattempo il suo stile continuava a forgiarsi tra ascolti variegati ed importanti esperienze che la portarono finalmente al suo album di debutto Marry Me (2007), preludio del suo potenziale, e poi Actor (2009) ispirato, come lei stessa ha dichiarato, ai film Walt Disney, di cui fece il pieno dopo un tour devastante. E’ un disco arioso, brillante e piacevole all’ascolto, in più molto apprezzato dalla critica. Sulla stessa base pop baroque, ma con un approccio più sperimentale e art rock, prende forma il terzo disco, Strange Mercy (2011) che porta all’affermazione decisiva di St. Vincent, lasciando impressi nella mente brani come Chloe in the afternoon, Surgeon e Champagne Year. E’ l’inizio di una nuova fase: comincia a prendere forma un’artista sempre più completa e matura che da qui avrà un impatto estetico, oltre che musicale, sempre più forte.
Una delle influenze più importanti di Annie sono i Talking Heads, soprattutto il loro leader David Byrne, ed è con quest’ultimo che incide e poi pubblica nel 2012, Love This Giant. L’unione di St. Vincent con il genio e la grande personalità artistica di Byrne ne fa scaturire un lavoro intrigante a cui si aggiunge anche un’accattivante performance nei live.
Nel 2014, con una capigliatura grigio-lilla e un look da strega post moderna, pubblica il suo quarto disco da solista, eponimo, in cui sviluppa un sound più elettronico e mostra la lezione funk imparata dalla collaborazione con David Byrne.
Ultima fermata, per ora, è il disco Masseduction (2017) – riproposto con arrangiamenti intimisti in MassEducation (2018) – arrivato dopo tre anni e probabilmente anche il più conosciuto e chiacchierato. Di forte impatto, totalmente pop ma affatto scontato, i cui temi centrali sono il sesso, il desiderio e tutto ciò che lei riassume, appunto, in “seduzione di massa”. Album, tra l’altro, candidato ai Grammy Awards 2019, previsti a Los Angeles per il prossimo 10 Febbraio, nella categoria Best Alternative Music Album, al fianco di giganti come Björk, David Byrne, Beck e Arctic Monkeys. Davvero niente male, se si pensa che, oltre a tutto questo, St. Vincent abbia anche creato un modello di chitarra pensato appositamente per le donne, insomma non ce n’è davvero per nessuno!