Con questo titolo ci si aspetterebbe un disco di sapore cantautorale, folk, intriso di nostalgia. E invece. Dopo i crepitii iniziali di legna che arde della title track, “Il campanile oltre la nebbia” sviluppa un magma sonoro che richiama il prog eclettico dei King Crimson e il metallo onnivoro dei primi Faith No More, con richiami a certo southern rock marca Lynyrd Skynyrd o Gov’t Mule, mentre il resto del lavoro si muove tra scansioni ritmiche (“Il meccanismo dell’orologio” con Superdownhome a batteria e cigar box), elettronica pulsante e divagazioni nel jazz di Miles Davis (“Ruggine sul mulino ad acqua”).
Il paese dei camini spenti è un album quasi interamente strumentale, ma ricco e loquace nella narrazione, anche senza una voce. Alessandro “Petrol” Pedretti (batteria, percussioni, pianoforte, glockenspiel, filed recording) e Nicola Panteghini (chitarre, batteria elettronica, bass synth) si fanno ispirare da fonti energetiche diverse per raccontare un borgo misterioso dove appunto la gente se n’é andata da tempo, restano misteriose presenze (Tre vecchie streghe, unico brano con un cantato, quello di Claudia Ferretti e le tastiere di Fidel Fogaroli) ricordi ed emozioni (Forse dopo cena verrà la neve) nostalgie (Quando le donne stavano ai lavatoi), paesaggi sonori (Estate-Cartolina con il synth di Ronnie Amighetti e In assenza di nuvole col pianoforte di Pierangelo Taboni). Un invito aperto a non mollare di fronte allo spopolamento, ad una resistenza attiva contro i danni del progresso. La teleferica, mezzo di trasporto di materiali e persone ormai in disuso, diventa simbolo e ispira un brano (Teleferica al chiaro di luna, ancora con Fogaroli alle tastiere) che è anche diventato un video realizzato con immagini d’epoca prese dall’Archivio Nazionale Cinema d’Impresa di Ivrea.
Nell’album è anche accluso un gadget indovinatissimo: una scatoletta di cerini per riaccendere appunto i camini spenti della nostra memoria, ma anche alimentare il proprio fuoco interiore.
Dopo Il giorno delle altalene(2015) e La malinconia delle fate (2016), questo album fissa le coordinate del duo, che in concerto si fa spesso accompagnare dal trombettista Francesco Venturini. Un disco che gioca sapientemente sul contrasto tra i titoli evocativi, idilliaci e la musica spesso nervosa e tratti violenta, comunque incisiva e potente, che ne fa una delle cose più interessanti uscite nell’avaro panorama italiano del 2018.
Sdang! Il paese dei camini spenti (Dreaminggorilla/Edisonbox, 2018)
Paolo Redaelli