Hidden Parts e Disco(mfort): l’improvvisazione non improvvisata

Sei anni di registrazioni per arrivare a questo Disco(mfort), sei anni dopo il primo lavoro, Traum. Non è la fretta la caratteristica dominante degli Hidden Parts che, con un lavoro certosino in sala di registrazione, hanno dato forma e direzione ad un magma improvvisativo assolutamente libero ed incontrollato, ricondotto poi in un album assolutamente originale e innovativo. Ne parliamo con Giorgio Cantadori, batterista e produttore, cuore della band insieme al bassista Gabriele Bertani (assente giustificato) e Alex Fornari, cantante e autore di tutti i testi, già noto per il suo lavoro con i Pale TV e da solista.

Giorgio Cantadori – L’idea era di suonare in libertà. Abbiamo emancipato la sezione ritmica, elevando basso e batteria al ruolo di elementi principali della composizione. L’approccio iniziale era proprio quello di non comporre, posporre il fatto creativo. Per anni abbiamo suonato in modo libero, quasi senza pensare, registrando tutto. Poi abbiamo utilizzato le parti che ci sembravano più significative per creare i brani del disco, arrangiando e sovraincidendo altri strumenti. Dalla materia grezza dell’improvvisazione collettiva siamo passati a qualcosa di più rifinito, che avesse una forma e una direzione. Chi sovraincideva era messo nelle stesse condizioni di chi aveva suonato all’inizio, non aveva il tempo di memorizzare troppo il brano. Ci siamo accorti, quando abbiamo provato a risuonare i brani, che non avevano il tiro e la carica degli originali nati dall’improvvisazione.

Poi nel giugno del 2014 è arrivato nella band Alex e con lui avete inserito le parti vocali.

Alex Fornari – Sono improvvisate pure quelle. Non c’è praticamente nulla di studiato. Mi hanno fatto comporre al volo, con con un pennarello, sul momento, mentre si suonava. L’unico brano scritto con calma, seduto, è stato Karel T. con la voce di Synthia, dedicato a Karel Thole, celebre illustratore della collana di fantascienza Urania.

GC – Non abbiamo una voce che canta una melodia. Con Alex siamo riusciti a fare un lavoro fantastico, lui si incunea perfettamente nelle varie asperità della musica.

AF – Quando ho iniziato a lavorare con loro vedevo le cose in modo geografico, entravo nella loro musica come fossero dei panorami, ho sempre cercato di immaginarmi dei paesaggi, volando in un sogno dentro le vallate che costruivano. La voce era uno strumento dei tanti, come nel jazz. Ho chiesto a loro quale lingua usare e quali tematiche, poi ho incentrato tutto sul tema del disagio nei rapporti, dis-comfort appunto.

Si sente comunque una disciplina nel disco, come se l’improvvisazione ad un certo punto fosse stata incanalata entro una forma-canzone. Lo vedo come un album da eseguire per intero in una performance dal vivo, come se si trattasse di una suite, tipo “Dark Side of The Moon” per intenderci.

GC – Sì c’è una certa unità, pur nelle differenze tra ogni brano. Potrebbe sembrare un album concept. Ma ogni brano non sorge da esigenze melodiche, come nel novanta per cento dei casi. Qui nasce tutto da un riff iniziale e poi tutto viene costruito, ma in maniera abbastanza spontanea, esce quasi inconsapevolmente. Il primo brano, la title track, è ispirato ad un pezzo dei Beatles, Happiness is a Warm Gun dal White Album, con la sua progressione in quattro parti.

Davvero? I Beatles per me erano l’ultima cosa che ci avrei sentito. Ci ho trovato King Crimson, Zappa, Art Ensemble of Chicago, Rollins Band, Talking Heads, qualcosa del Prince più nero. Musica ben strutturata, insomma.

GC – Le influenze sono più o meno quelle. Io mi sono ispirato molto a Clive Brooks, batterista degli Egg, uno dei primi gruppi di Canterbury, che suonava solo tempi dispari.

Probabilmente è quello che solletica l’orecchio, abituati come siamo a questo tum-tum massificato.

GC – Cerchiamo strutture particolari. In certi brani è la sezione ritmica che comanda. Ogni musicista è responsabile del suo strumento e, diciamo, della sua linea. Questo consente ad ognuno di sviluppare la sua personalità e il risultato è un insieme di energie collettive, libere, differenti. Con noi hanno suonato Lelio Padovani (chitarra), Marco Gambarelli (chitarra, flauto), Andrea Azzali (noises & electronics), Roberto Azzali (sax), Adriano Engelbrecht (violino) e una splendida cantante come Synthia.

Un po’ come si faceva negli anni Settanta, quando si pensava a liberare l’arte più che al mercato.
GC – Il nostro primo disco, Traum, è del 2012, e mentre lo registravamo è nato anche tanto materiale che poi abbiamo utilizzato su questo lavoro. Non è un album dettato dalla fretta. Ci abbiamo messo sei anni ed è uscito solo quando è venuto come dicevamo noi. Ci siamo detti: ecco, adesso è pronto.

Il suono che avete ottenuto è presente, efficacissimo, potente.
AF – Domenico Vigliotti è un ottimo ingegnere del suono. Ha lavorato al primo album dei Dunk, supergruppo fra elementi di Giuradei, Marta Sui Tubi e Verdena. Ha aperto di recente uno studio a Parma, il Sonic Temple ed il nostro è uno dei primi album che ha registrato lì, dopo varie esperienze che vanno dal rock alternativo a Mario Biondi.

E’ un disco per cui gli orizzonti italiani sono abbastanza ristretti. State promuovendovi all’estero?

GC– Goodfellas ci segue la distribuzione nei negozi e abbiamo Wayside Music per gli Stati Uniti e l’Europa, ma ci muoviamo anche autonomamente, secondo una logica di autoproduzione.

Non c’è molta roba come questa in giro in Italia, anche per l’approccio che avete usato. Il disco nasce da un’ improvvisazione totale e si arriva comunque ad una melodia, una struttura, un rigore armonico. E’ un disco da ascoltare in movimento, perché è dinamico, ti spinge anche a ballare in certi punti, seguendo il ritmo che in alcuni punti è quasi funky. Ci sono tanti temi di originalità, ci si scopre sempre qualcosa di nuovo.

GC – Abbiamo preso spunto dal Miles Davis di Bitches Brew che giocava in sala di incisione, spostava assoli da un pezzo all’altro, interveniva in studo sui brani creando collages sonori interessantissimi.

Quale sarà la continuità del progetto?

AF – Abbiamo fatto tre esibizioni live, raccogliendo anche materiale sonoro che deve ancora uscire. Sulla nostra pagina facebook abbiamo documentato come nasce un brano, Don’t. Stiamo lavorando su alcune date di presentazione per la prossima primavera e uno show live. Non abbiamo nessuno che ci segue nella programmazione o nel booking, siamo cani assolutamente sciolti e liberi.

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