Dire Straits Legacy: con Alan Clark oltre l’eredità di Mark Knopfler

Marco Caviglia, romano, voce e chitarra, è il frontman dei Dire Straits Legacy, il supergruppo che sta girando l’America e l’Europa proponendo l’ “eredità” del mitico gruppo di Mark Knopfler, ma anche i propri brani. Ultima tappa della leg italiana il 5 dicembre all’Europauditorium di Bologna. Con la band ci sono Alan Clark, tastierista e membro da quasi subito dei Dire Straits e lo special guest Jack Sonni, che si unì ai Knopfler per il disco e il tour di Brother in Arms. Nel gruppo spiccano anche Trevor Horn, bassista e autore della svolta elettropop degli Yes, oltre che fondatore dei Buggles e produttore per tanti artisti, Steve Ferrone alla batteria, session man di dischi importanti. Completano la line-up un altro supermusicista come Mel Collins (che in Italia non ci sarà perché impegnato con i King Crimson in Usa), Phil Palmer (chitarra), Danny Cummings (percussioni), e Primiano Di Biase (tastiere).

 

 

E a te, Marco tocca il ruolo che fu di Mark, come lo interpreti?
Sarebbe sciocco e poco produttivo cercare di riprodurre un timbro vocale e sonorità irripetibili. Più che in quelli di Mark, mi calo nei panni di…Marco, cercando soprattutto di essere me stesso. Uno che da giovane era pazzo dei Dire Straits e adesso ha la fortuna di poter suonare la loro musica sui palchi di tutto il mondo.

Ma com’ è suonare insieme a questi big del rock?
Anzitutto, sono splendide persone, che mi hanno messo a mio agio sin dagli inizi, nel 2009. Mi tremavano le mani, quando ho cominciato a provare con loro, ero di fronte a pezzi di storia della musica. Ma loro tranquilli, educati, hanno fatto in modo che mi inserissi subito. E da loro ho imparato e continuo ad imparare moltissimo. Sono magnifici anche quando stiamo insieme, giù dal palco.

Fate il repertorio dei Dire Straits, ma non solo. C’è un album appena uscito di inediti, che si chiama “3 chords Trick”.
Il trucco dei tre accordi, appunto, che sono quelli del blues. Tre accordi su cui si basa gran parte della musica rock. In fondo una struttura semplice, ma bisogna saperli combinare bene, farli funzionare insieme, creare sempre qualcosa di tutto nuovo. Il segreto è tutto lì.

Anche Mark approva quello che state facendo, non è vero?
Beh, lui ha deciso da tempo di non suonare le canzoni dei Dire Straits e nemmeno di suonare più un palco, per dedicarsi al suo progetto solista e alla registrazioni in studio. E’un musicista finissimo e anche il suo ultimo disco è una dimostrazione di quanto sia grande. Guarda al progetto da lontano, credo, con simpatia. Ma ormai lui ha preso da tempo un’altra strada

Marco, hai trasformato una passione in un mestiere, ma hai trasferito anche il tuo amore musicale di gioventù all’interno di un progetto che funziona e ben preciso.
Che può volere di più un musicista nato in Italy? Suono quello che mi piace, viaggio per il mondo a proporre la musica del mio gruppo preferito. Siamo stati in giro per gli Stati Uniti e il Brasile, ho visto e imparato tantissime cose. Stare con musicisti così, poi, ti spinge continuamente a migliorarti, a dare sempre stesso. Sono un uomo fortunato, davvero. E poi suonare sui palchi italiani, nel paese dove sei nato, è sempre un emozione in più, qualcosa che ti dà una carica ancora maggiore.

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