Pionieri incontrastati della musica big beat inglese insieme a Chemical Brothers e Fatboy Slim, i Prodigy calcano i palchi di tutto il mondo da ben 28 anni. Sabato 1 dicembre, le leggende della musica elettronica hanno fatto tappa all’RDS Stadium di Rimini per la seconda data italiana del No Tourists Tour 2018.
Le premesse non sono esattamente le migliori: arrivati con largo anticipo ma comunque ben due ore dopo l’apertura dei cancelli, ci troviamo davanti ad una lunga ed inspiegabile coda. Purtroppo è stato disposto un unico ingresso con solamente due addetti al controllo dei biglietti ed altrettanti al check degli zaini/borse. Non serve essere un event manager per capire che tutte quelle persone non entreranno mai in tempo per il concerto. Mancano pochi minuti all’orario ufficiale di inizio ed il palazzetto è infatti ancora mezzo vuoto. Nervoso per il fatto di essermi perso l’opening act, realizzo che invece ancora nessuno è salito sul palco: “fortunatamente” tutto è spostato più avanti di tre quarti d’ora
Poco male, sullo stage sta per arrivare uno dei gruppi più interessanti e promettenti della musica inglese. Gli Slaves sono, a parer mio, la migliore rappresentazione del punk nel 2018: il duo formato da Laurie Vincent (chitarra/basso) e Isaac Holman (batteria e voce) è un concentrato perfetto di rabbia, ironia e sfrontatezza. I loro pezzi sono brevi ed hanno riff che entrano velocemente in testa. Isaac suona in piedi e a torso nudo una batteria composta semplicemente da due tom e due piatti. Dopo un paio di canzoni entrambi i membri sono già scesi in mezzo al pubblico a fomentare i presenti, ma c’è un problema…
La prima volta che li vidi dal vivo fu in apertura al concerto dei Kasabian al Mediolanum Forum nel novembre 2017 e, esattamente come in quell’occasione, i due si trovano a suonare prima di un gruppo con il quale, musicalmente parlando, hanno ben poco a che fare. Logicamente il pubblico tipico dei Prodigy sembra non apprezzare più di tanto la proposta degli inglesi e così, in un clima di (ahimè) generale disattenzione, la mezz’ora a loro disposizione vola via.
Un enorme telo rappresentante la famigerata Prodigy Ant copre lo stage e poco dopo le 22 Keith, Liam e Maxim salgono sul palco. Si comincia con la leggendaria Breathe e già saltano tutti i ranghi. In termini di mosh un concerto dei Prodigy non è diverso da quello che può essere un concerto thrash metal, la partecipazione è collettiva e devastante per tutta la durata del live tanto che dopo pochissimi minuti c’è già chi sta cercando per terra il cellulare o il portafoglio smarrito
Mentre Liam Howlett, da sempre il cervello dei Prodigy, lancia un drop dopo l’altro nascosto da sintetizzatori e tastiere, il pazzo piromane Keith Flint e l’altro compare Maxim Reality fanno quello che meglio gli riesce dal 1990 ad oggi: essere dei totali animali da palcoscenico il cui unico compito è trasmettere energia alle masse. Per tutta la durata i due urlano, saltano e ballano rendendo la “Prodigy Experience” completa. Sappiamo bene che senza Liam la band non avrebbe ragione di esistere, ma allo stesso tempo senza i due vocalist i loro live non sarebbero così unici ed intensi.
Scoprii i Prodigy a 15 anni ed in poco tempo decisi di andare ad un loro concerto. Fu a Milano nel 2012, nell’ultima edizione dell’Heineken Jammin’ Festival, che rimasi completamente sconvolto dalle sensazioni che questa band è in grado di trasmettere dal vivo. In un’ipotetica lista dei 10 migliori live act al mondo in questo momento, sicuramente un posto è occupato dai “Godfathers of Rave.”
Il trio dell’Essex è in tour per il vecchio continente praticamente ogni anno nel periodo estivo, essendo una presenza fissa nel circuito dei festival europei, ma quando sono i palazzetti ed i club ad ospitarli è perché i nostri hanno un nuovo lavoro in studio da promuovere. “No Tourists”, il settimo album della band, uscito lo scorso 2 novembre è un ulteriore conferma della qualità alla quale i Prodigy ci hanno sempre abituato. Se per Champions of London e Resonate il feedback è buono, per We Live Forever e la micidiale Need Some1 il calore mostrato dai fan italiani è eccezionale.
Non importa se ad uscire dall’impianto è la classica Voodoo People del 1994 o la più recente Omen del 2009, la risposta del pubblico è fortissima in ogni caso. La setlist pesca in modo equo da ogni periodo della carriera della band: non mancano le leggendarie Firestarter e Smack My Bitch Up mentre la chiusura è affidata a Take Me To The Hospital.
Sfortunatamente, a causa dei ritardi all’ingresso, il set è tagliato di tre brani rispetto alla data livornese del giorno prima.
Un piccolo boccone amaro da ingoiare ma che non intacca quella che è stata l’ennesima conferma positiva da parte della band britannica. I Prodigy dal vivo non fanno prigionieri.