Mudhoney a Milano: proletariato del rock

Vigeva una regola non scritta per la quale l’orario d’inizio di un concerto rock fosse le 22. Venerdì 23 novembre, alle 22 in punto, una vera rock band sale sul palco del Santeria Social Club di Milano. I Mudhoney, antesignani del grunge, quella musica che, partendo da Seattle, ha segnato i primi anni ’90 con gruppi come i Nirvana, Pearl Jam e Soundgarden.

Partiti tranquilli, cominciano ad ingranare con la nuova Kill Yourself Live (da Digital Garbage) e dopo un paio di birre, che soprattutto il panciuto bassista Guy Maddison ingolla piacevolmente per la gioia dei presenti. Da qui vanno via veloci nel loro scompiglio organizzato, proponendo pietre miliari quali Touch Me I’m Sick, Into The Drink e You Got It, senza però dare l’impressione di cercare un nostalgico tuffo nel passato, dimostrando invece di non aver mai smesso di credere nel rock e di essere rock. Questi pezzi suonano ancora oggi potenti e incazzati, in particolare il riff pazzesco di Judgment, Rape, Retribuzion and Thyme è bello grezzo e maleducato, ma non stucchevole. L’intesa tre i componenti è naturale. Aleggia soprattutto divertimento. Le movenze goffe e la voce punk di Mark Arm si coniugano perfettamente con gli spiazzanti cambi di ritmo di basso e batteria e con le distorsioni e gli assoli vorticosi, ma mai troppo lunghi di Steve Turner.

I Mudhoney sono ormai quattro signori di mezza età, ma sul palco non sono poi tanto diversi da quei ragazzacci ruvidi di trent’anni fa, innamorati del rock e fieramente ispirati agli Stooges, al punk e al blues. Hanno ancora il potere di creare quell’atmosfera della Seattle fine anni ’80 e di diffonderla nel locale a volumi altissimi, conservando l’energia, la forza e l’impatto che avevano in gioventù.

Il pubblico è vario, ma non più giovanissimo e noto divertito la sua curiosa disposizione direttamente proporzionale, dove l’età cresce man mano che ci si allontana dal palco. I più giovani infatti sono lì davanti, pogano e alcuni si dedicano allo stage diving (pratica ormai sempre meno tollerata, che consiste nel svolazzare sopra la gente nuotando sorretti tra un mare di mani), mentere gradualmente i meno giovani assistono sempre più lontani fino ai nostalgici “anta” come me in fondo. Unica costante l’head banging (esagitati movimenti della testa a tempo).

Va riconosciuto alla band di essere riuscita a riempire locali più o meno piccoli (anche Santeria sold out) per ternt’anni, senza aver mai avuto il bisogno di inseguire il successo commerciale. Non sono dei professionisti (Arm lavora tutt’ora come magazziniere della storica etichetta Sub Pop), ma degli onesti operai specializzati del rock. Sono una vera icona, non sono costruiti. Immediati e diretti con l’attitudine consapevole e determinata, i Mudhoney sono liberi!

Manuel Toppi

 

Set list: Into The Drink/I Like It Small/Hey Neander Fuck/You Got It/Nerve Attack/The Father I Go/Judgment, Rape, Retribution e Thyme/No One Has/Kill Yourself Live/Touch Me I’m Sick/If I Think/Next Mass Extinction/Suck You Dry/Please Mr. Gunman/Get Into Yours/Night And Fog/F.D.K. (Fearless Doctor Killers)/Oh Yeah/I’m Now/Paranoid Core/One Bad Actor/The Only Son Of The Widow From Nail/21st Century Pharisees

Bis:Here Come Sickness/Why You Drivin’ Now?/Sweet Young Thing (Ain’t Sweet No More)/Ensam I Natt (The Leather Nun Cover)/The Money Will Roll Right In (Fang cover)/Hate The Police (The Dicks cover)/Fix Me (Black Flag cover)

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