Il locale è esattamente quello che ti aspetteresti se ti stai recando ad un concerto degli One Dimensional Man: fumoso, acrilico e pesante nei toni scuri; il bar diviso in due postazioni, una interna ed una esterna. Il Faq è il posto giusto, posizionato in una zona commerciale di Grosseto, fra capannoni e grandi palazzi. E’ Sabato 3 Novembre ma per un attimo la sensazione è quella di essere tornati a vent’anni fa, il palco, la gente, il fabbricato, tutto sembra essere una cartolina di una decade appena trascora, non c’è traccia di “digitale” nell’aria, si perpecisce la violenza che incombe con toni scuri e opachi come la calma prima della tempesta.
E’ quasi mezzanotte e sul piccolo palco del Faq suonano ancora i Fuzz Orchestra, il gruppo di apertura, sono in tre, piano, chitarra e batteria. Il loro è un metal granitico fatto di ritmi serrati e decisi e anche se a tratti si sente davvero tanto la mancanza di un cantante o comunque di un interprete delle loro composizioni, riescono a creare un’atmosfera valida e pregna di aspettative per il piatto forte.
Nel frattempo Pierpaolo Capovilla, gira fra la folla, sempre con la bevuta in mano, fuma, vibra, quando passa lui viene quasi d’istinto di farsi da parte. Lui è l’elettricità, lui la tempesta che si sentiva in lontananza.
E’ mezzanotte e mezzo e i Fuzz si lanciano nel loro ultimo pezzo. La calca sotto il palco aumenta e un attimo dopo, il folletto Capovilla diviene padrone della scena insieme ai suoi One Dimensional Man.
Non è il Teatro Degli Orrori e lo si capisce fin da subito. Estremamente ritimici, brillanti, possenti e meno schizzofrenici.
C’è tutto il tempo di mettere in scena “You don’t exist” ultimo album della band, quasi per intero, anche se è con i grandi classici che il gruppo riesce ad impersonificare la sua migliore trasformazione. Gli estratti da “1000 Doses of Love” e “Take me away” sembrano fuoriuscire direttamente dalla pelle come sudore.
Capovilla balla, sconnesso, frenetico, rapito dalla musica, sputa, beve chiedendo birre al pubblico e urla come un animale.
L’atmosfera tutt’intorno è fuoco e brucia, il pubblico quasi non capisce, in fondo gli anni sono passati e ormai chi andrebbe a vedere un concerto vero? Ci siamo abituati ai vernissage e questo per sempre ci priverà della musica.
Ma a Capovilla non interessa e con la sua forza espressiva è più affascinante di un bello sfondo per iPhone. Gli occhi sono tutti per lui fino all’ultimo pezzo.
Si avvicina al microfono e con voce rotta, chiama il coprifuoco voluto dal locale. “Tell me Marie” chiude una performance quasi surreale, al limite del concesso in un ambiente musicale sempre più evirato dalle emozioni.
Quando lasciano il palco la terra ancora trema e l’aria d’un tratto diventa pesante, grigia come nebbia.
Sembra di lasciare un campo di battaglia, a vincere stavolta è stata la musica con tutta la sua grinta primordiale.