Chan Marshall, in arte Cat Power, ha affascinato il pubblico dell’Estragon di Bologna, lunedì 5 novembre, nella data organizzata da Radio Città del Capo, Unhip Records e Locomotiv. Non ha avuto bisogno di molti artifici, in realtà. Solo una voce espressiva, non perfetta ma proprio per questo più autentica, una band efficiente, luci indovinate. Chan racconta le sue storie di nomadismo fisico e spirituale (“Wanderer” è il titolo dell’ultimo album, storie di un percorso spesso accidentato), dimostrando padronanza di palco e grandi capacità di coinvolgimento, mettendo a tacere i soliti critici che la davano già per definita. Liberata da incombenze strumentali (nel tour di due anni di fa si presentava da sola con chitarra e voce), Miss Marshall sembra avere ritrovato la gioia di suonare in gruppo, si sposta da un lato all’altro del palco per offrirsi con generosità ad una folla adorante ma concentrata, che segue le canzoni in silenzio quasi religioso.
Il Potere del Gatto è ammaliante, si sprigiona già dalle prime note di “Crossbones” che vengono dopo la voce profonda di Nick Cave in “Distant Sky” diffusa dagli altoparlanti di sala. Quasi un cambio di testimone tra artisti di grande intensità, molto terreni e comunque spirituali nella loro ricerca. E Cave sarà omaggiato poco più avanti con l’attacco di “Into my Arms” (“I don’t believe in an interventionist God”) che sfocia in “Horizon”, in un lungo racconto misterioso ed ipnotico. La voce di Cat conduce la danza, si insinua dentro l’anima, scorre come un fiume impetuoso, sulla scia di grandi che ne hanno saputo fare uno strumento come Joni Mitchell o Rickie Lee Jones. Miss Marshall segue una traccia che va da Patsy Cline e Nico fino a Tori Amos, sembra quasi una Janis Joplin pacificata, country, blues e folk insieme, mentre sale e scende tra i toni. Il pubblico si fa guidare da questa voce, conosce a memoria i testi delle canzoni e quando basso e batteria salgono pulsanti e ti colpiscono nel petto, la melodia si fa ritmo e spinge perfino a ballare. Chan si circonda di bravi musicisti, funzionali al suo progetto. Nessun assolo, nessun chiasso, perfetta aderenza al concetto di insieme. Un polistrumentisa che si destreggia tra basso, chitarra e tastiere, una batterista incessante e percussiva, una chitarrista che dipinge paesaggi con le sonorità vintage della sua Telecaster. Cat Power è riconoscente per gli applausi e l’accoglienza, in uno stentato e generoso italiano. “Grazie mille, mille grazie”, dice più volte.
Per l’ultimo pezzo, “Moon”, viene al proscenio con il solo chitarrista e sprigiona tutta la magia lunare di una voce matura e sorprendente. E viene presa dall’emozione, si commuove davanti alla folla oscillante, rendendosi conto di aver cantato come voleva, si congratula con se stessa in un gesto che sarà sfuggito ai più e applaude a sua volta il pubblico (“Italia, sempre nel mio cuore”) in un modo che non è quello ruffiano di ingraziarsi un’audience, ma di confermare un amore reciproco. Il concerto, aperto dalle dolci melodie in inglese dell’italianissima ed emozionatissima Her Skin, chitarra a tracolla, è durato solo un’ora e un quarto, ma per intensità è sembrato molto di più. Niente bis, nonostante pressanti richieste, ma va bene così. Ci si deve alzare da tavola sempre con un pizzico di appetito.
Paolo Redaelli
setlist: Crossbones-Fast/Pa Pa Power/Robbin Hood/White Mustang/Me Voy/Nick-Horizon/Woman/Metal Heart/In Ur Face-Frank/Nico-Song To Bobby/Manhattan/Shivers/Good Woman/Wanderer/Moon