«Faccio musica grande, grassa e orribile, proprio come me, e ne sono contento… Onestamente, non me ne frega un cazzo di tutto il resto. Non diventerò mai popolare, a meno che non perda un sacco di chili, e questo dovrebbe bastarti per capire in che stato si trova la musica contemporanea. L’anno scorso Bruce Pavitt mandò un mio video a MTV affinché lo trasmettesse. Risposero che non potevano mandarlo in onda perché sono troppo lardoso. Ma ci puoi credere? Non che morissi dalla voglia di vedere il mio brutto muso in televisione, ma la cosa mi fa crepare dal ridere ancora adesso»
Bastano poche parole a Tad Doyle per fare una fotografia esatta del suo tempo musicale. Una generazione, quella che si è scatenata fra metà degli anni 80 e fine anni 90, che ha vissuto il paradigma intrinseco di vivere la propria dimensione artistica come un binomio mai del tutto sovrapponibile.
La musica e l’arte, sembravano aprirsi a scenari incredibili e soprattutto imprevedibili, il concetto stesso di bellezza artistica era intrappolato tra la sua versione di “massa” quindi vendita commerciale, fama ed eco mediatico e quella invece “intima” dove prevale parlare delle proprie emozioni in pezzi musicali tanto da trasformarli in estetismi degni del ritratto di Dorian Gray.
Il collasso, che circolava in tutti i peggiori bar dell’America del Nord, è arrivato con l’uscita di Nevermind. Non si parla mai abbastanza di questo disco, anche se questo non è lo spazio adatto, ci basti ricordare che non è successo proprio spesso che un disco scritto e partorito per non uscire dai confini di uno stato, poi abbia conquistato il mondo incarnando una generazione.
Tutti i grandi nomi della cultura sub urbana che animava Seattle hanno partecipato alla buona riuscita di questo colosso, come se tutto il fragore di quel movimento avrebbe dovuto inevitabilmente portare a Nevermind.
Eppure, come ogni messaggio veicolato dalle masse, il successo distorse la vettorialità artistica di un mondo che si trovava per la prima volta a confrontarsi contemporaneamente in due facce del pianeta quali America ed Europa, soprattutto.
Nevermind ed Mtv hanno viaggiato a braccetto, coadiuvando due facce opposte della stessa medaglia.
E allora? Finisce così?
Per fare di tutta l’erba un fascio, il grunge è uno spazio minuscolo dove non possono essere messi tutti i gruppi che hanno segnato comunque più di un decennio.
Questo articolo serve solo a questo, a mettere in luce due gruppi che, probabilmente, non troverete in nessun annale di Mtv o di qualche altro programma o palinsesto artistico dell’epoca: parliamo dei Tad e dei Love Battery.
Attivi, contemporaneamente ai noti Soundgarden, Alice in Chains e Pearl Jam, queste due formazioni non sono mai riuscite a trasformare i loro pezzi “vermi” in “farfalle” vere e proprie e per questo, anche se non hanno mai raggiunto il successo mediatico, hanno mantenuto una purezza che non troverete in nessun negozio di magliette griffate o nelle doctor Martens comprate ad Hoc.
Non staremo qui, ad elencarvi nomi, date e biografie, visto che internet provvede alla grande a sopperire a queste indagini superficiali, noi vi diamo due dischi da ascoltare liberamente, nella vostra dimensione personale per apprezzarli o disprezzarli senza influenze esterne.
Il primo è inevitabilmente “8-way Santa” dei Tad, tripudio degno di un paesaggio post apocalittico alla realtà masticata e rigurgitata dallo stesso Doyle che oltre a chitarrista, voce e mente della band era un degno macellaio di 136Kg di portata.
La sua capacità di creare melodie completamente distaccate dalla ritmica del pezzo a volte è allucinante per non parlare di come alcuni fra questi classici suonino incredibilmente delicati su di uno sfondo fatto di granito.
L’altro è “Daygloo” dei Love Battery. Ogni periodo musicale che si rispetti ha un gruppo “psichedelico” fra le sue fila; nel nostro caso questo ruolo è incarnato perfettamente dai Love Battery. La band di Ron Nine è un miscuglio di Sisters of Mercy e Jefferson Airplane per farla facile. L’atmosfera che si respira in questo disco probabilmente ce l’avrete già stampata in testa perché anche se non lo avete mai ascoltato, lo avrete sicuramente immaginato.
Anche se solo di un piccolo spicchio, buona scoperta.