Giorgio Poi e band regalano emozioni a non finire: bellissime canzoni suonate benissimo. Un trionfo per le orecchie.
Dovrei contenere l’entusiasmo, ma non è facile. Avete presente quell’estasi da gol al novantesimo? Ecco, dopo aver visto Giorgio Poi esibirsi al Bronson di Ravenna fatico a mantenere un contegno tanta è stata la qualità espressa sul palco. Se ancora vale il detto “in due è amore, in tre è una festa”, la serata deve molto anche ai due cantautori in apertura: Girless e Urali, scintille luminose dell’indie emiliano-romagnolo. La festa infatti, viene scaldata a dovere dai due che non si risparmiano e mettono sul piatto tutto il meglio della loro produzione, a volte alternandosi, altre duettando insieme. Girless porta sul palco i suoi arpeggi di chitarra e una buona dose di malinconia: un folk di maniera ad alto tasso di contenuti. Urali invece pur partendo da analoghi presupposti riflessivi e introspettivi, sfoga la sua esibizione su distorsioni pesanti che portano il suono al limite, poggiando su questo paesaggio sonoro apocalittico una voce limpida che dà un tocco di luce alle ombre create volutamente con la chitarra.
Dopo questa piacevolissima parentesi arriva il turno di Giorgio Poi, che porta con sé Francesco Aprili alla batteria e Matteo Domenichelli al basso. In tre è definitivamente una festa, perché non si tratta solo di un trio, ma di una trinità. Uso volontariamente questo termine per chiarire a parole quanto i tre suonino bene e si trovino in sintonia. Il sound portato sul palco del Bronson è fantastico: caldo e dinamico come da migliore scuola anni ’70. I ragazzi ci sanno fare e lo dimostrano nell’ora abbondante di concerto dove Giorgio Poi canta le canzoni del suo album d’esordio “Fa niente” (Bomba Dischi), che si candida a essere uno dei migliori di questo 2017.
Poi non parla molto con il pubblico, resta un po’ sulle sue, non tanto per spocchia, quanto più per indole. Di certo non si sente la mancanza delle parole perché i ragazzi lì sul palco macinano note e groove in quantità industriale. “Less is more”, e loro sono di una semplicità e di un’efficacia straordinaria. Le pelli di Francesco Aprili (che viaggia come un treno nonostante la febbre a 38), si sposano alla perfezione con il basso di Matteo Domenichelli che si agita e si muove per tutto il concerto quasi come se fosse tarantolato. I due hanno un’affinità particolare e sostengono la chitarra raffinata di Giorgio Poi che anche vocalmente è perfettamente a fuoco ed espressivo.
Il concerto comincia con “Paracadute” e prosegue con tutte le altre tracce del disco comprese ovviamente le più gettonate “Tubature” e “Niente di strano”. Un capitolo a parte va scritto per “Acqua minerale”, vero e proprio gioiello di casa Poi, che infatti viene replicata nel bis – acclamato a gran voce da un pubblico mai domo – che il cantautore concede prima di congedarsi. In mezzo, oltre a pezzi strumentali e a digressioni virtuosistiche che vedono Giorgio Poi anche suonare il flauto, la scaletta concede alle nostre orecchie la gioia di due cover magistrali: “Aurora” de I Cani e “Il mare d’inverno”, storica canzone scritta da Enrico Ruggeri per Loredana Bertè. Proprio in questi due episodi si nota quanto il sound del trio sia originale: un marchio a fuoco che segna anche due brani così caratteristici e difficili da affrontare. In In tutto questo c’è pure spazio per una sorpresa. Giorgio Poi rimane da solo sul palco e regala al pubblico una canzone inedita, scritta di recente, dal titolo “Semmai” che lascia ben sperare per il prosieguo di una carriera che si preannuncia luminosissima.
Ad un concerto non si può chiedere di più: un bel locale adatto ai live come il Bronson, un’organizzazione impeccabile frutto del lavoro di Fu.ture Kulture e una band che lascia il segno . Giorgio Poi è il futuro della musica italiana, questo mi viene da dire senza avere il minimo dubbio.
Me ne torno a casa con qualcosa di più del solito timbro sulla mano, marchio labile di ogni serata. E ne sono felice.