Quando a cantare era Dario Fo

Non ci vuole niente ad ammettere che ci manca e che, nonostante sia passato qualche mese, l’assenza di uno degli ultimi tra i più grandi cervelli italiani si fa ancora sentire prepotentemente. Quello che è difficile, è cercare di rendere omaggio a Dario Fo nel giorno del suo compleanno: difficile perché tutto quello che ha fatto nella sua vita, lo ha fatto in grande stile, con semplicità, come se gli fosse naturale essere geniale. Ma ci proverò lo stesso, parlandovi di un tratto forse leggermente meno conosciuto del grande commediografo: la musica. 

Fo si avvicinò alla musica fin dall’inizio della sua carriera: essa, fin da subito, fu fondamentale per gli spettacoli che portava in scena. Cominciò così fin dagli anni Sessanta a pubblicare alcune raccolte con le canzoni contenute negli spettacoli teatrali; si tratta quasi sempre di canzoni popolari, che rappresentano tutte le regioni italiane e la loro condizione.

Uno dei primi lavori è infatti “Ci ragiono e canto”, raccolta di canzoni popolari che mirano a raccontare la condizione del mondo proletario in Italia attraverso alcuni repertori tradizionali regionali. Nello spettacolo, egli porta in scena i rappresentanti del mondo del lavoro, quelli che raccontano l’uomo italiano prima della rivoluzione industriale, lo stesso che fu “oppresso dal lavoro, dal clero, dalla guerra, dall’amore, dai ricchi, da un complesso di infelicità sociali per sottrarsi alle quali il canto costituì uno splendido palliativo”, come scrisse Vittorio Serra all’indomani della Prima dello spettacolo. 

Nel corso degli anni, Fo ha poi collaborato con due dei più famosi cantastorie milanesi: Enzo Jannacci e Giorgio Gaber. Se la loro carriera ci ha insegnato qualcosa, è che nessuno nella propria vita si è avvicinato al lavoro del commediografo come questi due cantautori, nonostante l’enorme abisso che c’era tra i tre. Mi spiego meglio: Fo e Gaber, nel corso del tempo, si sono esposti anche dal punto di vista politico, cantando o recitando in modo totalmente libero e provocatorio; Jannacci, dal canto suo, non ha mai toccato quel tipo di argomento. Ma tutti e tre avevano una delle armi più potenti in mano: l’ironia. E con essa, hanno raccontato storie di sconfitti, di persone deboli, degli umiliati.  

Il primo e unico lavoro di Dario Fo con Giorgio Gaber si intitola “Il mio amico Aldo/Tre storie di gatti (una triste, una allegra, una media)”: si tratta di due brevi storie scritte da Franco Crepax, a cui si aggiungono la musica di Gaber e la voce di Fo che narra. 

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“Ho visto un re” è un brano scritto da Dario Fo, incluso nello spettacolo “Ci ragiono e canto”: Jannacci l’ha inserita nel suo album “Vengo anch’io” del 1968. La canzone ha creato parecchi problemi al cantautore, che è stato costretto a rinunciare alla finale di Canzonissima – storico programma che andò in onda dal 1956 al 1975 sui canali RAI – del 1968 a causa della censura. Il motivo? La canzone tratta il problema ricco-povero: viene raccontato di come il potente, sia esso vescovo, imperatore o re, pianga quando venga toccato, anche se in maniera minima, nei suoi interessi mentre i poveri sono costretti a ridere sempre perché il loro dispiacere provocherebbe danni a chi è ricco.

Come abbiamo visto, Fo è stato legato fortemente alla musica per tutta la sua vita, collaborando con molti artisti (nell’ultimo periodo con Mika, ad esempio). In un articolo del 1985 scrisse:

“Una volta a Liverpool, ho visto un gruppo, una band, che beveva Coca Cola e la spruzzava sul pubblico sputando. Uno ha anche fatto la pipì sul pubblico. Il pubblico ci stava, prendeva la cosa come un atto d’amore, una provocazione, un gioco. Mi sono chiesto che cosa sarebbe successo in Italia. Due mesi dopo lo stesso gruppo è venuto a Bologna, ero molto curioso, ma si è ripetuto tutto quasi identico.
Una volta, a Ravenna, in una chiesa romanica, ho ascoltato un gruppo di musica antica, credo un gruppo di Roma, si occupavano di Cinquecento italiano e francese. Non sapevo molto di quella musica, allora, ma questo, come altri concerti, mi ha aiutato in tanti altri spettacoli miei, del tipo Ci ragiono e canto.
Quest’estate sarò in Umbria: alla Libera Università di Alcatraz terrò un corso di messa in scena; in quei corsi, per la musica c’è Lucio Dalla. Spero di andare in giro ed ascoltare musica. Ormai sono convinto che la musica classica e la musica popolare non abbiano distanze importanti fra loro e non da noi. E ho capito che c’è un modo comune, internazionale, di reagire alle proposte e alle provocazioni: un legame, per cui i concerti, talora, finiscono per diventare quasi dei riti”.

 

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