Ci sono volte in cui un gruppo incarna tutte le caratteristiche di un genere diciamo “predefinito”. In altre parole, suona come qualcosa che abbiamo già sentito. I testi richiamano a qualcosa che conosciamo e magari anche la parte più superficiale, ovvero quella stilistica, ci ricorda qualcuno che abbiamo già visto. Non che ci sia necessariamente qualcosa di male in questo, in fondo la nostra sarà molto probabilmente ricordata come la grande era del revival, dove tutti pescano dal passato, chi dagli anni ’60, chi dagli anni ’70 o chi dai ’90.
Gruppi buoni e anche buonissimi però li abbiamo, è innegabile; la qualità della musica rimane senza tempo, a prescindere da tutto il resto. E quindi, se nella schiera sempre più infinita di gruppi che sembrano gli Zeppelin, ne sbuca uno che suona diversamente da loro e magari lo fa anche bene non è una novità. Ad ogni epoca la sua moda, a noi è toccata la moda del “passato”. Come detto sopra non c’è assolutamente nulla di forzatamente sbagliato, ma non posso negare di provare un certo brivido quando mi trovo ad ascoltare qualcosa di nuovo con la N maiuscola: qualche gruppo che ha avuto il coraggio ad oggi, di buttarsi in qualcosa di rischioso, o semplicemente genuino, chiamiamolo brivido della novità.
Un esempio lampante di questo sono i The Growlers. La band si forma nel 2006 in California, nella città di Dana Point, capitanata dal cantante Brook Nielsen. Anche se l’organico del gruppo oscillerà fra i 5/6 membri da un disco all’altro, il nucleo originale è caratterizzato da tre membri soltanto: il già citato Nielsen, il chitarrista Matt Taylor e il pianista Kyle Straka. La prima fatica del gruppo prende forma nel 2006 ed esce con il nome di “Are You In or Out?” per la Everloving. Un solo anno dopo esce il loro secondo disco dal titolo “Hot tropics” e nel 2012 il terzo “Hung at Heart”. I tre dischi si muovono su di un filone comune composta da un misto di rock, reggae, psichedelia, in una miscela mai sentita prima. Il suono del gruppo si fa via via, sempre più inconfondibile e non passa molto che viene etichettato con il nome di “Beach Goth”. Due parole che sembrano formare un ossimoro di forma e di fatto ma che invece si sposano benissimo nella musica del “trio” di Dana Point. Gli stessi membri della band si sentono molto a loro agio con la definizione tanto da organizzare, a partire dal 2012, un festival con basa a Santa Ana California, dal nome proprio di Beach Goth e che ogni anno da allora vede avvicendarsi grandi gruppi della scena moderna. Il tutto dura la bellezza di due giorni e vede i The Growlers come esibizione conclusiva per entrambe le serate.
Nel frattempo esce “Chinese Fountain” nel 2014; il sound del gruppo non è mutato ma è visibilmente evoluto e cresciuto. Piano piano si sente sempre più l’impronta originale di Nielsen e soci e il disco oltre che ad essere scritto bene, suona da favola. Il 2016 è un anno fondamentale per il gruppo che corona, dopo un periodo di collaborazioni sparse qua e là, il suo connubio con il cantante degli Strokes, Julian Casablancas. L’ultimo disco della band infatti, dal titolo “City Club” sarà il primo a non essere etichettato Everlovin”, ma altresì sarà partorito sotto la guida del guru degli Strokes.
Sempre il 2016 sarà l’anno con maggiore affluenza al Beach Goth che vede una line-up assolutamente di primo piano con Bon Iver, James Blake e Violent Femmes fra gli altri. Insomma un gruppo coraggioso che sperimenta con coraggio, sia in musica che nell’organizzazione di eventi, ponendosi non solo come fautori ma come inventori di musiche ed emozioni e, per come stanno andando ultimamente le cose, si può dire tranquillamente di essere solo all’inizio. Buon ascolto a tutti!