Quando si sente il termine “indie” sono molte le cose che ci passano per la testa. Indie è l’abbreviazione di indipendente. Quindi cosa significa di preciso questa “etichetta”? Nel tempo il suo significato si è stratificato; si potrebbe pensare che stiamo parlando di gruppi che si autoproducono, in casa magari, senza l’ausilio di nessuna grande casa discografica. Ci potrebbe inoltre venire in mente un genere musicale che si è esteso principalmente all’inizio di questo millennio, con una massiccia espansione di band che utilizzavano stilemi passati presi in prestito soprattutto da gruppi di nicchia come Joy Division e Bauhaus. Si potrebbe infine pensare che ci stiamo riferendo a tutti quei gruppi capitanati dall’avvento degli Arcade Fire che arrivano a fondarsi un’etichetta da soli solo per rimanere liberi nelle loro composizioni. Tutte queste interpretazioni sono in parte vere, ma troppo limitate. Quando si parla di “indie” si intende di fatto un connubio di tutti questi scenari e non solo; la pratica infatti di “farsi tutto da soli” va avanti da decenni e se gruppi come Jethro Tull e Led Zeppelin dopo un paio di dischi avevano già fondato le loro proprie rispettive case di produzione non c’è da stupirsi. Di fatto più che di un genere musicale stiamo parlando di uno stile compositivo, di registrazione e di estrazione sociale che accomuna tutte quelle realtà musicale sbocciate defilandosi dalla nave maestra delle grandi produzioni.
Per intenderci, ora che siamo sotto Natale, tutte le compilation pronte ad essere vendute, le ristampe di artisti vecchi come il cucco, grandi nomi che reinterpretano classici natalizi; bene, questo non è assolutamente “indie”. Oggi, però non stiamo facendo un’analisi approfondita e storica di questo termine tanto poliglotta quanto accattivante, bensì, andremo a parlare del Babbo Natale di questa visione, un individuo che fa uscire ogni suo singolo impacchetato come un bel regalo scintillante e che ormai da un paio di decadi ci rende felici ogni volta che partorisce qualcosa. Nello spirito del Natale abbandoniamo un attimo i gruppi propriamente “moderni”, cioè usciti al massimo 3-4 anni fa e ci concentriamo sulla figura di Jack White. Sappiamo tutti chi è, il suo personaggio è spesso entrato ed uscito dal palco della notorietà e delle produzioni di altissima qualità negli ultimi 20 anni.
Affacciatosi giovanissimo al mondo musicale, John Anthony Gillis, nasce e cresce a Detroit, la patria musicale della Motown, madre del funk, gospel e di quasi tutta la musica nera di qualità da sempre e con una tradizione musicale alle spalle che dura da decenni. A vent’anni entra a far parte dei “The Go”, gruppo di punta della scena cittadina di quel periodo tanto che al momento dell’arrivo di White, il gruppo sta collaborando attivamente con la Sub Pop Records, indiscutibilmente la più grande delle case discografiche indipendenti d’America, la stessa che diede i natali ai Nirvana, ai Melvins, ai Love Battery e a tutti quei gruppi che incendiarono Seattle durante gli anni ’90. Ben presto, però, stanco della band, White lascia e poco dopo, siamo nel 1998, forma con la misteriosa compagna d’avventure Meg, i White Stripes. Il rapporto fra i due non è mai stato del tutto chiaro; in un primo momento si pensava potessero essere fratelli, tesi debole vista la loro vicinanza di età ( nemmeno sei mesi di differenza), successivamente sposi, ma i due sono sempre stati talmente riservati sulle loro vite private da non confermare nessuna ipotesi al riguardo. Su cosa hanno fatto gli White Stripes nella storia della musica degli ultimi anni andrebbe spiegato a fondo in un libro, tante sono le cose da mettere in evidenza. Noi cercheremo di riassumerle il più possibile.
Intanto la formazione, che si presentava come duo, lasciava presagire una mancanza assoluta di suoni e di possibilità artistiche; primo errore, i due al contrario hanno macinato, masticato e reinventato la struttura canzone di un pezzo rock come uno se lo immagina, senza venire mai meno alla potenza sonora. La batteria di Meg è riconoscibile fra mille, le ritmiche spezzate, cadenzate, sono scritte con maestria e precisione e danno ai loro pezzi un sapore unico; il tutto condito con i suoni della chitarra di White, da sempre attentissimo a questo aspetto e dalla sua voce stridula ed inconfondibile. Per non aggiungere le doti polistrumentistiche sempre di Jack che passa dalla chitarra al piano con una scioltezza impressionante; tant’è che mai dal vivo si sono serviti di turnisti. Erano loro due con davanti dieci diversi strumenti. Tornando ai White Stripes nel 1998 firmano per l’indipendente Italy Records e da quel momento rimarranno con loro fino alla fine del progetto per un totale di sei dischi, un live e due dvd. “Icky Thump”, “Get Behind Me Satan” e l’omonimo “White Stripes”, sono dischi bellissimi e struggenti: si spazia dal blues al rock più spinto, dalla sperimentazione pura a cavalcate molto taglienti. Una carriera insomma costellata di qualità. Per non parlare ovviamente della super hit “Seven Nation Army”. Parliamoci chiaro, siamo un po’ saturi di quel pezzo, soprattutto dopo che è stata la colonna sonora dei nostri mondiali, è un pezzo quasi semplice da riprodurre ma, chiedete a voi stessi, da quanto tempo non usciva una canzone, per di più da un canale indipendente, così Rock & Roll e con un riff riconoscibile dopo un paio di secondi da far invidia a “Whole Lotta Love” e “Smoke on the Water?”. Quel pezzo è forse l’ultimo vero riff famoso della storia moderna.
I White Stripes si sciolgono e non ci sarà mai dato sapere quali siano i motivi reali di tale conclusione. Quello che sappiamo però è che Jack White, invece di chiudersi nel lusso delle grandi case discografiche che lo vogliono a tutti i costi, se ne fonda una propria la Third Man Records con la quale farà uscire due suoi dischi solisti e tanti altri gruppi da lui stesso curati e prodotti. Nel frattempo esce con un dvd dal titolo “Amex Unstaged”, un concerto interessantissimo dove si avvicendano sul palco due band, sempre capitanate da Jack White, una tutta al maschile e una tutta al femminile, per promuovere l’ultima fatica in studio dal titolo “Blunderbuss” .
Gillis non ha mai perso il piglio per la composizione e anche questo disco è una perla rara fatta di country, blues, rock ma non solo, non c’è un vero genere per esprimere gli ultimi lavori del chitarrista. Piccola chicca: il regista del concerto è niente meno che Gary Oldman. Nel frattempo intanto il nostro uomo non sta fermo un attimo e collabora con altri progetti. I Raconteurs ad esempio sono un super gruppo dove militano tutti musicisti affermati con i quali Jack White farà due dischi. Ci sono poi i Dead Weather, altro super gruppo, dove alla voce stavolta milita Alison Mosshart già cantante dei Kills e che ci regala così un White inedito dietro la batteria. In questi giorni, perché di giorni si parla quando qualcuno produce così tanto e in una moltitudine così vasta di progetti, non è uscito nulla di nuovo. Non ci resta quindi che aspettare. Vista la vicinanza al Natale abbiamo pensato di non regalarvi solo un nuovo gruppo da ascoltare ma almeno due o tre per conoscere meglio questo fautore senza tempo dell’idea indipendentisstica della musica. Una musica fatta, composta e suonata solo seguendo canoni personali, lontanissimi dalla scena principale e dalle grandi case discografiche. Prendete Jack White come il nostro personalissimo Babbo Natale di quest’anno; immaginate che al posto dei regali sotto l’albero, questo speciale Santa Claus ci metta gruppi, o dischi di una qualità devastante e senza tempo. Materiale che vi durerà sicuramente per tutte le vacanze e che ci scommetto vi accompagnerà sempre da qui in avanti. Vi lasciamo con una frase che lo stesso White ha pronunciato durante la conferenza stampa indetta per comunicare lo scioglimento dei White Stripes:
«La bellezza dell’arte e della musica può durare per sempre, se la gente lo vuole. Grazie per condividere con noi quest’esperienza. Il vostro coinvolgimento non verrà mai perduto, e per questo vi siamo sinceramente grati»