“In nessun luogo andai, per niente ti pensai, e nulla ti mandai per mio ricordo sul bordo m’affacciai d’abissi belli assai su un dolce tedio a sdraio amore ti ignorai”. E’ con questi semplici versetti che nel 1986 iniziò la consistente, anche se di difficile interpretazione, collaborazione tra Battisti, uno delle massime personalità della musica leggera italiana, e Panella, paroliere italiano noto al grande pubblico partendo proprio dalla collaborazione con Battisti cominciata nel 1983 nell’album di Adriano Pappalardo “Oh! Era ora” di cui Battisti curò gli arrangiamenti. Da questa collaborazione ne uscirono fuori 40 pezzi distribuiti in 5 album, il primo dei quali dal nome “Don Giovanni” uscito nel 1986. L’uscita di questo primo album non fece altro che riconoscere e confermare la fine definitiva della collaborazione tra Battisti e Mogol.
“Don Giovanni” , come già detto, è un disco di rottura. Il Battisti che era riuscito a inserire tra le linee di un pop commerciale echi di rythm and blues, di rock, di cantautorato americano è lo stesso che a partire da quest’album si trasformerà in decostruttore della stessa musica pop con l’utilizzo di sonorità esclusivamente elettroniche. Nell’album non si percepisce l’intenzione di cancellare il passato, ma piuttosto di superarlo e forse anche scherzarlo grazie soprattutto al pressante ed incessante desiderio personale di trascendere i propri limiti nello stile e nel linguaggio. Questo incessante desiderio si trasforma, tra musica e parole del “Don Giovanni”, in gioco raffinato dove a prendersi prepotentemente la scena è il divenire sotto forma di spirito sbarazzino che strizza a volte l’occhio alla commedia dell’arte, alle maschere del teatro di figura; i fumi che ne conseguono abbozzano forme d’ironia ridanciana che sa a tratti di beffa. Gli elementi sono essenziali, le linee complesse e tutto il divenire fila liscio, il tutto rimane necessario.
“Le cose che pensano” vibra di una cocente malinconia dove sono le forme declinate al passato a mordicchiare lentamente i rimasugli d’una relazione che scompare in distanze siderali, in parole che si inseguono senza trovarsi mai. In “Fatti un pianto” basta l’ascolto delle crudeli immagini culinarie associate all’amore accompagnata da ritmi spingenti per comprendere la forza e le potenzialità sprigionate in questo brano ed in tutto l’album. Arriva poi “Il doppio del gioco”. Testo leggermente più complesso dove ci si cerca in immagini capovolte, in un intreccio di sensi e non sensi, uno sfiorarsi che consegna ai giochi del doppio e del doppio del gioco il compito di stilizzarne le linee guida a tratti immalinconite da gelide associazioni che ne suggeriscono la fine. “Madre Pennuta” si affida a ritmi sincopati accese da visioni che fanno il verso al senso del tempo ed alla storia. “Equivoci Amici” è una sequela infinita di gaie associazioni dove ad ogni amico corrisponde un equivoco. I significati in questo brano, forse il più semplicemente allegro dell’album, vengono ribaltati all’estremo, invertiti, completamente stravolti. “Don Giovanni” è un adagio dalle forme stilistiche perfette dove il Don Giovanni si trasforma in un inno all’assenza, le forme si sgretolano, sfumano, svaniscono, ma vengono puntualmente contrappuntate da un atteggiamento autocelebrativo sino ad un finale estremo “qui Don Giovanni ma tu, dimmi che ti paga”. “Che vita ha fatto” sembra invece canti di dove le vite non si incontrano, tra sogno e realtà, ed i verbi non coincidono. Infine “Il diluvio” è una bella linea formalmente ben definita che alterna costantemente dramma amoroso a beffa, a burla.