Intervista a Roberto Angelini e Pier Cortese: un viaggio nella loro Discoverland

Roberto Angelini e Pier Cortese da un po’ di anni portano in giro Discoverland, il loro progetto musicale che punta a reinterpretare in chiave nuova e originale grandi classici della musica italiana e internazionale. I due giocano con le note, con le atmosfere e anche con le parole, perché Discoverland ci parla allo stesso tempo di scoperta, ma anche di demolizione, nel senso apparentemente oltraggioso di “distruzione delle cover”, anche se forse sarebbe meglio parlare di destrutturazione. La cover è dunque l’elemento centrale del progetto, ma in un modo tutto loro, che pesca a piene mani nella libertà interpretativa del jazz. Questi sono i connotati di “Drugstore” (Gas Vintage Records/2016) secondo capitolo di questa avventura cominciata nel 2012 con l’omonimo “Discoverland”.
In occasione del live bolognese del 4 dicembre al Cortile Cafè, abbiamo fatto una lunga chiacchierata sui vari significati di questi due dischi, dei loro intenti musicali, delle loro visioni e molto altro. Il tutto condito da qualche sigaretta e qualche bicchiere di buon Sangiovese. 

Questo progetto nasce sicuramente da un’amicizia oltre che personale, anche musicale visto che lavorate insieme da tanti anni. A parte questo dato evidente, sono curioso di sapere qual è l’input artistico-stilistico che vi ha spinto a partorire un progetto di questo tipo. In sostanza vorrei una definizione di quello che fate, delle intenzioni che mettete all’interno di Discoverland.

Roberto Angelini:  Quello che mi piace di questo progetto, a parte suonare insieme a Pier e girare, è anche altro. Sono anni che la cover è un territorio quasi più della tribute band. Il concetto è quello di vestirsi uguale e fare il pezzo il più possibile fedele all’originale. Le persone vengono a vivere una specie di momento nostalgico. Questo però rischia di essere mortifero per la cultura musicale di una nazione perché non si crea nulla. Allora il nostro piccolo esperimento cerca in qualche modo di stimolare noi stessi e gli ascoltatori a giocare con le canzoni in maniera un pochino più creativa. Cioè, si possono fare delle cover mettendoci del proprio, trasformandole e ponendo l’ascoltatore non in maniera passiva, ma attiva perché deve essere attento a capire quale canzone è stata distrutta, quali citazioni ci sono all’interno.

Si, perché poi non c’è solo la citazione palese del brano che andate a interpretare, ma anche tanti altri piccoli rimandi…

Pier Cortese: Assolutamente, è esattamente così. Noi due abbiamo, più o meno, la stessa affinità sul concetto di spettacolo, sul concetto di show. Vuol dire che o fai una canzone tua o fai una canzone di un altro, l’importante è avere un suono, un sound, qualcosa da dire. E secondo me anche con le cover c’è qualcosa da dire, perché, nei termini in cui parlava prima Bob (Roberto Angelini, ndr) della creatività, è come se fossero degli inediti nascosti. Ormai quasi prendiamo i testi e li riscriviamo armonicamente e melodicamente, quindi si può dire che è più un inedito nascosto che una cover. E questo tendenzialmente è anche una forma di rispetto verso l’originale. Per me è praticamente inutile avvicinarsi alla canzone originale, perché già esiste una dimensione emotiva e quindi è inutile andare a stuzzicare una dimensione emotiva di per sé già perfetta. Conviene andare a trovare, come abbiamo fatto in questo caso nel disco, una dimensione nuova.

In questo senso vi vedo anche come dei produttori artistici, non solo dei cantautori. E non a caso avete già avuto esperienza in questo campo.

Pier Cortese: Guarda, mi dici una cosa che mi ero trovato a pensare pochi giorni fa. Stavo guardando X-Factor, e notavo che adesso c’è una categoria di canzoni ri-arrangiate completamente e questa cosa ci inorgoglisce un po’. Cinque-sei anni fa guardando gli stessi talent, guardando l’approccio che c’era in generale sull’idea di coverizzare una canzone, era qualcosa di impensabile.
Quando mi accosti alla figura del produttore, mi viene in mente che a volte sarebbe bello che qualcuno andasse un pochino a fare un piccolo percorso per capire da dove arriva tutto questo, come siamo arrivati qui. Non me lo aspetto, ma da questo punto di vista mi ci hai fatto pensare. Se mi chiedessero questa cosa qua, me lo aspetterei e non sarei sorpreso e mi farebbe molto piacere. 

Ascoltando il vostro disco emerge la sensazione di una sorta di “caos controllato”.  Una sorta di collage di pezzi vari incollati tra loro per dare una nuova forma. Ci sono dei momenti totalmente destabilizzanti come quando mischiate “L’isola che non c’è” di Bennato con “Clint Eastwood” dei Gorillaz. Per quanto possa sembrare fuori luogo, però funziona…

Pier Cortese: Caos è una parola meravigliosa! (Ride) “Però funziona” è la frase chiave, è il senso del progetto. Il nostro è un approccio per così dire jazzistico. C’è una libertà di fondo, un flusso che seguiamo senza farci condizionare e poi capita che delle cose ci finiscono dentro. Una volta che hai stabilito un’atmosfera che a volte viene dallo strumento, a volte dall’idea, a volte dalla metrica del testo, anzi spesso a dir la verità,  a quel punto dentro ci va quello che ci deve andare. La fai camminare e via, questo è.

Roberto Angelini: La visione jazzistica si nota anche dal fatto che alla fine prendiamo un tema, che è l’elemento che riconosci, anche se volte lo devi andare a cercare perchè è destrutturato, e poi ci improvvisiamo sopra. In fondo è così.

Parlando di progetti esclusivamente personali. Pier, ultimamente ti stai dedicando molto a Little Pier e le storie ritrovate, il tuo progetto di musica per bambini.

Pier Cortese: E’ uno stimolo incredibile, adesso ho finito il nuovo disco e sono felicissimo. Questa volta ci sono anche gli ospiti, i soliti amici. Gnut, Niccolò Fabi, Bianco. Le solite sensibilità affini, diciamo così. Sono molto contento di questa cosa e non vedo l’ora di pubblicarla. E poi, anche se non faccio un disco mio dal 2009 (“Nonostante tutto continuiamo a giocare a calcetto”/ Universal Music, ndr) ho fatto tante cose in questi anni: ho prodotto due dischi di Fabrizio Moro, Discoverland, la tournée con Niccolò. Un po’ di cosette che mi permettono di prendere un lungo respiro dal mio essere cantautore che insomma, ha avuto una serie di blocchi e riflessioni…

Invece tu Roberto non ti fai sentire dal 2012…

Roberto Angelini: E non ho tempo! (ride) Vedi c’è il telefono, continuamente mi arrivano messaggi. Da sei anni…Non riesco proprio. Prendo la chitarra e mi arriva il messaggio. Metto apposto la chitarra e sempre la stessa storia...

A parte gli scherzi, in questi anni ti sei dati da fare anche tu, tra produzioni artistiche, tournée e programmi televisivi. Penso a Gazebo e Amici.

Roberto Angelini: Mi gira la testa solo a pensarci. E’ chiaro che mi andrebbe di fare qualcosa di mio. Io penso che sia una grande fortuna e un lusso non dipendere da niente e da nessuno, neanche dall’ossessione di fare dei dischi propri. Può darsi pure che non ne faccia più. Può darsi che domani mi sveglio una mattina e passo un mese in studio oppure faccio un solo pezzo e arrivederci e grazie…

Diciamo che alla fine avete diversificato il vostro modo di lavorare, non seguendo solo la classica strada del cantautorato, ma mettendo le vostre capacità a disposizione di più tipi di espressione artistica

Roberto Angelini: Questo io lo porterei in giro nelle scuole di musica o laddove c’è qualcuno che vuole intraprendere questo particolare mestiere o ha questa passione. Io consiglio di non fossilizzarsi, ma non perché è brutto concentrarsi su una cosa soltanto, ci mancherebbe, ma perché bisogna imparare tutte le parti del proprio mestiere. Fare il cantante che sta a casa nella sua stanzetta e non sa neanche come funziona registrare una cosa, o non sa come si fa un videoclip o non sa come funziona un ufficio stampa o non sa cosa sono le edizioni o come funziona la radio, è sbagliato secondo me. Bisogna essere curiosi e allargare la propria visione perché ogni singola cosa ti può aiutare sull’altra.
In musica per migliorare a suonare la chitarra non devi stare otto ore a suonare la chitarra, ma devi suonare la batteria, devi suonare il piano devi cantare, devi vivere, uscire di casa. Allargare gli orizzonti, leggere, fare esperienza. Ogni cosa stimola l’altra.

Stimolante è sicuramente l’approccio e il risultato di questo nuovo disco del duo. Per darvi un’idea del mondo di Discoverland, eccovi il videoclip di un brano presente in “Drugstore” e, in più, vi consiglio di non perderli dal vivo.

 

 

 

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