Dodici anni fa il Roma Jazz Festival, diretto da Mario Ciampà, è sbarcato all’Auditorium Parco della Musica, sede stabile e prestigiosa. Un mutamento che ha consentito alla manifestazione di diventare, da semplice vetrina dei nomi più in voga, festival tematico, con la predisposizione ad indagare i vari aspetti culturali e sociali del jazz . E’ stato approfondito il rapporto con il cinema e la video arte, l’arte pittorica, la letteratura, l’economia, il contributo delle orchestre, delle case discografiche, il fenomeno dei giovani talenti del jazz italiano. Un percorso stimolante che si è proposto di dimostrare quale importanza ha e ha avuto il jazz nella cultura del ‘900, un modo di vivere questa musica in maniera più consapevole, ma senza trascurare l’aspetto dell’intrattenimento, sua caratteristica primaria da sempre. La 40ma edizione si presenta come una sorta di compendio dei motivi trattati negli ultimi anni.
Stasera, 19 novembre, si esibiranno nella Città Eterna due mostri sacri del jazz. Parlare di Stanley Jordan, nato a Chicago nel 1959, e Billy Cobham classe 1944 significa nominare due vere e proprie leggende della fusion (e anche del jazz, senza ulteriori specificazioni). Stanley Jordan ha rivoluzionato la tecnica della chitarra elettrica facendo leva sulla sua antecedente esperienza come pianista: ha così creato il “touch” (o “tapping”), la chitarra viene suonata come se fosse un pianoforte. Billy Cobham, d’altra parte, ha prestato la sua verve e la sua batteria a una miriade di registrazioni storiche, realizzate da maestri come Miles Davis, John McLaughlin, Herbie Hancock, (storia la sua collaborazione nella Mahavishnu Orchestra), Carlos Santana, George Benson, Stanley Clarke, per non parlare dei suoi tanti dischi da leader. Due artisti che insieme fanno faville assicurando un concerto ad alto tasso di spettacolarità.