I Muse, Giovanni da Palestrina e la musica sacra del ‘500 italiano

I Muse di Matthew Bellamy nel 2015 uscirono con un concept album dal titolo “Drones” costruito sui droni e sulla ricerca di identità dell’individuo, tra riferimenti a George Orwell e omaggi a Kennedy e Pierluigi da Palestrina. Il compositore inglese Matthew Bellamy rielaborò “Sanctus Et Benedictus” trasformandola nella canzone Drones, tratta dall’omonimo album. Il libretto del cd spiegava  che tale canzone era “basata su Sanctus Et Benedictus, composta da Giovanni Pierluigi da Palestrina, riarrangiata (e con testo aggiunto) da Matthew Bellamy“.
 
Giovanni da Palestrina – Sanctus et Benedictus
 

 Muse – Drones
 

Nei prossimi giorni, esattamente il 9 novembre, alle 20:30 nella sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma si terrà un concerto imperdibile per diversi motivi, primo tra i quali lo stretto legame esistente tra Giovanni Pierluigi da Palestrina e l’allora Congregazione dei musici di Roma, oggi Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Ma Giovanni Pierluigi da Palestrina ha avuto un ruolo importantissimo anche nella storia della musica e una delle opere che hanno fatto sì che il suo nome attraversasse i secoli è proprio la Missa Papae Marcelli, con la quale il compositore fece sue le direttive del Concilio di Trento (durato dal 1545 al 1563)  di una semplificazione della musica sacra.
 
La Missa Papae Marcelli (Messa di papa Marcello) è una messa polifonica a 6 voci, composta in onore di papa Marcello II, che regnò per sole tre settimane nel 1555. La riforma luterana, infatti, aveva semplificato ed avvicinato la liturgia al popolo e alcuni vescovi che partecipavano al concilio di Trento pensarono di riportare il canto liturgico all’esclusiva monodia gregoriana, attraverso la quale si riteneva che il testo sarebbe stato più comprensibile.
La Missa Papae Marcelli, al contrario, contribuì a convincere il Concilio che polifonia e comprensibilità del testo erano conciliabili. Studi recenti suggeriscono che la data di composizione più probabile sia il 1562, quando fu copiata in un manoscritto conservato nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
L’eccessiva elaborazione raggiunta nei secoli dalla polifonia si distaccava troppo dalla semplicità devozionale richiesta dal culto religioso, ma Palestrina con questa messa riuscì a dimostrare che era possibile coniugare la presenza di più voci a una chiarezza delle linee melodiche. Interprete ideale di un’opera così importante all’Auditorium di Roma non poteva che essere il grandioso Coro della Cappella Sistina, diretto da Massimo Palombella.
 
 

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