Gli intenti di Leo Pari sono subito chiari ed espliciti a partire dal titolo. “Spazio” (Gas Vintage Records, 2016), rimanda ad ambientazioni sonore eteree e sognanti. Già la copertina, curata da Ilaria Magliocchetti Lombi e Francesca Pignataro esprime chiaramente e senza indugi il contenuto del disco. All’ascolto infatti il primo dato che emerge è la massiccia presenza di synth dal suono ampio e dilatato che sono i veri protagonisti di tutto l’album. Via il folk tipico degli altri lavori (“Rèsina” del 2012 e “Sirèna” del 2013) e spazio all’elettronica. Tastiere su tastiere costruiscono un mondo preciso che percorre tutto il disco. Quindi il primo dato da tenere in considerazione è l’eterogeneità sonora.
E’ un album che ha un’identità precisa e coerente anche nei temi trattati. Leo Pari ci parla della fragilità delle relazioni tra uomo e donna, della paura di amare (“Werther”), del nostro momento generazionale, usando immagini ora chiare, precise e materiali, ora invece più metaforiche e surreali. Il linguaggio di questo disco lavora su questi due livelli portando l’ascoltatore in un mondo a metà tra realtà e fantasia. Un piccolo universo intriso di riflessione e malinconia, che prende in prestito il Lucio Battisti di “Una donna per amico” e lo porta a farsi una passeggiata negli anni ’10. Perchè, ricordiamolo, si parla di un disco dai suoni vintage, ma pur sempre contemporaneo e pienamente inserito nel contemporaneo.
Spiccano i singoli “Bacia brucia ama usa” e “I piccoli segreti degli uomini”, tracce d’apertura dell’album. Due manifesti di onestà maschile, di un amore che fatica a realizzarsi all’interno delle dinamiche falsamente romantiche e idealizzate dal pensiero comune ed è invece molto più materialista e concreto. “Scopo con un’altra/ Le ho detto che la amo/ Ma pensavo ancora a te”, è la realtà nuda e cruda presentata senza troppi giri di parole: “piccoli segreti” tipicamente maschili troppo spesso messi a tacere dalla vergogna.
Ma Leo Pari non è affatto imbarazzato e parla sinceramente. Una sincerità che paga durante lo svolgimento dei 39 minuti di “Spazio”. Non c’è solo disillusione amorosa, ma anche una sana fiducia nei sentimenti ostentata in “Arnesi”, una canzone squisitamente pop che mette in versi strumenti comuni come metafora degli sforzi necessari a mantenere in vita una relazione: “Il martello, il pennello / lo scalpello, il pennarello, il cuore/ sono gli arnesi che ho a disposizione/ mi occuperò della manutenzione/ del nostro amore”.
“Ave Maria” è una sorta di preghiera profana, che descrive la caduta dei valori (“La vita in questo mondo non è facile / Questo dolore adesso è un’abitudine/ Accompagnati dalla solitudine”) e la frenesia (Macchine isteriche e veloci/ l’immortalità/chiusi dentro a un club) tipiche dei tempi odierni. C’è la difficoltà dei giovani di oggi, ma anche di quelli di ieri, raccontata in “Non ci ruberanno mai l’amore” (“I ragazzi bruciano come fiammiferi/per non somigliare mai ai loro genitori/ inventano il futuro tra pastiglie e sonniferi”) che però lascia aperta una porta alla fiducia (“Ma tu stringiti a me/non tremare più”). La stessa fiducia emerge in “La fine del mondo” che, per quanto profetizzata, non sembra dare particolari preoccupazioni: “Arriverà la fine del mondo ma non ci stupirà, arriverà con la musica di Beethoven in sottofondo, ma non ci ucciderà”.
Nel complesso il disco scorre veloce e fluido. Dieci tracce di pop sintetico dai testi riflessivi e originali che in poco di mezz’ora ci regalano delle storie intrise di quotidianità. Forse per questo è bene definire questo disco come un disco prettamente pop, ma non nel senso di frivolo e banale, bensì nell’accezione più nobile di “popolare”, un termine che, negli esempi musicali più brillanti, rimanda alla capacità di raccontare i nostri tempi con eleganza e semplicità.
COPERTINA e TRACKLIST
02. I piccoli segreti degli uomini
03. Ave maria
04. Werther
05. Arnesi
06. Non ci ruberanno mai
07. La seconda volta
08. La fine del mondo
09. I cantautori
10. Dove sei finita tu