IOSONOUNCANE ha occupato i suoi ultimi cinque anni di vita ad architettare il suo secondo straordinario album. L’abbiamo incontrato dietro le quinte del Locomotive di Bologna, dove ha inaugurato il Mandria Tour. L’intervista che segue ci ha fatto scoprire l’uomo dietro l’artista, il poeta oltre il musicista. Buona lettura.
Ciao Jacopo, cominciamo con una domanda che mi incuriosisce: Se dovessi identificarti con uno strumento che rappresenti te e la tua musica, uno solo, quale sceglieresti? E perché?
Direi senza dubbio la voce. È lo strumento che per primo permette all’uomo di imitare la natura (il canto a tenore sardo è in questo senso emblematico) e quindi lo strumento che spinge naturalmente l’uomo verso l’arte (ovvero – per quanto mi riguarda – il tentativo disperatamente vitale di creare una realtà imperitura e più reale del reale stesso).
Tra il primo e il secondo album, passano 5 anni. Come mai?
“La macarena su Roma” uscì nell’ottobre del 2010 e il relativo tour si concluse due anni dopo. Diciamo quindi che fino all’autunno 2012 ho potuto unicamente accumulare bozze e frammenti sui quali, solo una volta ritiratomi, ho lavorato. Un anno di lavoro solitario e un anno di lavoro in studio con Bruno Germano mi hanno poi portato al disco finito.
Cosa hai voluto abbandonare e cosa hai voluto mantenere dal tuo precedente lavoro?
Per quanto mi riguarda fare un disco significa condensare in un’opera finita (per quanto incompiuta per definizione) un processo di ricerca che abbraccia un tot di tempo: ricerca su un punto di vista e quindi su un impianto lessicale e sonoro. Questo mi porta in un qualche modo a resettare totalmente o in gran parte quanto fatto precedentemente. Quel che rimane è la mia natura, il mio approccio alla realtà, la mia voce, la mia fantasia.
Se ti dicessi che ascoltando “DIE” (e più lo ascoltavo più mi accadeva) mi hai ricordato in tanti tratti “WOW!” Dei Verdena? Nella costruzione musicale, nella scelta di alcuni effetti sulla voce e su alcune melodie, e a volte anche nelle liriche. Cosa mi diresti?
Ti direi che si tratta di una considerazione giusta. I Verdena sono l’unica band italiana degli ultimi decenni che amo. Ne amo tanto l’attitudine e la dedizione al lavoro quanto alcune caratteristiche prettamente musicali (la vena melodica, la capacità di non suonare italiani pur utilizzando la lingua italiana, il drumming, ecc.). Insomma, sono l’unica band italiana degli ultimi 20 anni che può avermi in un qualche modo influenzato. C’è poi da dire che io e Alberto (ma anche Roberta e Luca) condividiamo molti ascolti e molte passioni musicali, e questo credo ci porti a soluzioni simili – il trattamento della voce nel mix per esempio, come giustamente sottolinei.
Ho provato a fare un gioco, riassumere il disco in 4/5 parole chiave: Sole, Sete, Sale, Fame, Morte. Cosa ne pensi? Sono 5 concetti onnipresenti, in maniera diversa, (falce, mietitura per la morte…), ma simile in quasi tutti i testi. Ho notato un senso di catarsi, una morte che porta alla rinascita. Ho colto male? E’ una metafora anche per la tua carriera? Ti senti “rinato”?
Hai colto benissimo. Tutto DIE è costruito sulla ciclicità, tanto liricamente quanto musicalmente, e dell’inscindibilità di vita e morte nel loro ciclico e vicendevole rigenerarsi. Detto ciò non credo si tratti di una metafora della mia carriera, o quanto meno non ci ho mai pensato. Ma forse a posteriori lo si può leggere anche così.
“Buio” è una suite di 10 minuti. Una scelta azzardata e fuori coro nel panorama musicale italiano. Personalmente è il mio momento preferito del disco. Hai mai pensato alla reazione del tuo pubblico ad un brano così lungo, variegato e impegnativo all’ascolto?
Si, ci ho pensato ed ero estremamente fiducioso. Non ho sbagliato direi. Come te tante altre persone considerano Buio il momento più alto e coinvolgente del disco (forse anch’io) e come me e te (questo è quello che deduco) sono tantissime le persone che amano ascoltare lunghi brani strumentali (e non solo canzoncine canticchiabili sotto la doccia). L’errore da non commettersi è quello di considerare il pubblico come un’entità definita e realmente indagabile. Personalmente rifiuto il concetto di “pubblico”, o quanto meno sono ben conscio che si tratta di un concetto statico e utile principalmente ai pubblicitari. Io credo nelle persone e le rispetto profondamente, appunto, negando il concetto stesso di “pubblico”.
Se i testi e la musica avessero un “peso”, quanto peserebbero in questo nuovo lavoro. Messi insieme devono fare 100, eh!
50 e 50.
Battisti, Gaber, Dalla. Nel gioco dello scambio di vite, quale dei 3 vorresti essere?
Sinceramente non vorrei mai essere qualcun altro. Se invece mi chiedi quale sia in definitiva il mio preferito dei tre, credo di poter rispondere Dalla. Ma a lui come agli altri – tutti gli altri – preferisco decisamente De André.
Ultima domanda per il tuo pubblico: proseguirai anche durante l’estate con il lungo tour che ti vede in moltissime città italiane?
Si, il tour terminerà a settembre.
Grazie Jacopo a presto
Grazie a voi!